Antonia Zecchinato | Le forme dell'iride
Testo dal catalogo della mostra Le forme dell'iride, 2012, di Renata Pompas: "...in Libro botanico un nastro color zaffiro con punteggiature multicolori collega le tre pagine: in verde veronese, verde bosco e blu laguna…"
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Le forme dell’iride

Di Renata Pompas
dal catalogo della mostra, 2012

Nel 1921 Filippo Tommaso Marinetti compilava il “Manifesto del tattilismo” e lo accompagnava con alcune “tavole educative tattili” realizzate con materiali di vario tipo, in prevalenza tessili.

Marinetti individuava quattro categorie di tattilità della superficie:

I:   tatto scurissimo, astratto, freddo. Carta vetrata, carta argentata.
II: tatto senza calore, persuasivo, ragionante. Seta liscia, crespo di seta.
III: tatto eccitante, tiepido, nostalgico. Velluto, lana dei Pirenei, lana, crespo di seta-lana.
IV: tatto quasi irritante, caldo, volitivo. Stoffa granulosa, seta intrecciata, stoffa spugnosa.

e due categorie di tattilità dei volumi:

V: tatto morbido, caldo, umano. Pelle scamosciata, pelo di cavallo o di cane.
VI: tatto caldo, sensuale, spiritoso, affettuoso. Ferro ruvido, spazzola leggera, spugna, spazzola di ferro. Peluche, peluria della carne o della pesca, peluria d’uccello.

Le sue tavole registravano il nuovo interesse delle avanguardie artistiche del Novecento per la polimatericità, che scompigliava la definizione accademica di pittura e scultura, inserendo nuovi materiali ed esaltando il coinvolgimento fisico, percettivo e sensibile. Marinetti immaginava camere materiche, con pavimenti e muri sensoriali, specchi, acque correnti, pietre, metalli, spazzole, fili leggermente elettrizzati, marmi, velluti e tappeti. Un decennio dopo, nel 1936, Salvator Dalí richiamava l’attenzione sui valori morbidi nella “Prima legge morfologica sui peli nelle strutture molli” e lo stesso anno Méret Oppenheim esponeva a Parigi alla prima mostra surrealista: “Déjeuner en fourrure” (Colazione in pelliccia).

Nel 1955 Robert Rauschenberg presentava “Bed” (letto), un vero letto sfatto e sporco, imbrattato con macchie di colore e Javacheff Christo cominciava ad avvolgere monumenti, edifici, colline e valli con la tela. “Mentre Soft Typewriter” (macchina da scrivere morbida, in stoffa imbottita) di Claes Oldenburg inaugurava nel 1963 la prima di una serie di opere di “Soft Art”.

Parallelamente nel campo tessile gli insegnamenti e le sperimentazioni avviati negli anni Trenta nel laboratorio di tessitura della Bauhaus, volte a trovare le qualità significative proprie del mezzo e della materia, liberavano l’artigianato dal decorativismo e davano corpo alle visioni di Marinetti, nella produzione di opere d’arte tessute.

Oggi le opere tessili, conosciute come opere di Fiber Art, sono presenti in importanti musei di tutto il mondo e le numerose mostre e Biennali che si succedono dagli Stati Uniti all’Europa, dalla Cina all’Australia, dal Giappone alla Corea, ne attestano l’affermazione e la diffusione mondiale.

In questo vivace contesto internazionale si inserisce l’opera artistica di Antonia Zecchinato, unica nel suo genere, che crea personalissime sculture soffici, cucendo e imbottendo stoffe lucenti.

Forma, materia e colore sono i tre principi base delle sue opere.

La forma è sempre rigorosa, strutturata in incroci ortogonali, linee parallele, linee oblique, sbarre, reticoli e spirali, a comporre costruzioni tridimensionali. Gli angoli si ammorbidiscono nelle disposizioni curvilinee e negli arrotondamenti delle volumetrie, ottenuti con imbottiture di gommapiuma. I volumi si aprono allo spazio nei tagli e nelle fenditure, nelle aperture a grate e nelle trasparenze del tulle. La struttura lavora trovando un equilibrio dinamico tra i contrasti e le opposizioni di forme e di colori.

La materia è sempre soffice, composta da stoffe, lisce e luminose, trapuntate e rigonfie, invitanti a un tatto rassicurante e accogliente, e da fettucce opache e iridate.

Il colore è gioioso, saturo e intenso; comunica festosità e allegria. Le gamme sono esuberanti, corpose e paiono invetriate nella lucentezza serica del raso. All’armatura portante in tessuto monocromatico si contrappone sempre una linea di forza multicolore, ottenuta tessendo ad armatura tela dei nastri in cui i colori dei singoli filati si mescolano e si frangono in molteplici gradazioni.

In mostra sono presenti una ventina di opere di diverse dimensioni, comprese tra il 1997 e il 2012, alcune delle quali mai esposte in Italia.

Il visitatore è accolto dalle quattro colonne dell’iride (1997) alte mt. 2,25 che dialogano con lo spazio di San Rocco, creando un’architettura aggiunta. Le colonne mostrano una progressione dalla compattezza verso l’apertura, schiudendo la forma cilindrica con tagli e fessure che si trasformano in reticoli sempre più radi. Al denso e compatto verde agata si contrappongono lingue triangolari di fuoco, in acceso rosso fiamma; il finestrato viola-peonia è attraversato obliquamente da vampe screziate, dal mandarino al fucsia al cobalto; l’inferriata zaffiro è ornata da un nastro color menta illuminato da lampi di luce gialla; l’arioso reticolato color corbezzolo accoglie un nastro in cui l’arancione trascolora nel giallo-limone e nel verde-erba, sino al blu-notturno.

Le opere si riferiscono agli elementi della natura: il cielo, l’acqua, i fiori, le conchiglie, la luce, il fulmine, di cui catturano lo splendore cromatico e lo ripropongono con effetti smaltati.

Sul filo dell’onda (1999), Marea (2011) e Tra cielo e mare (2011) sviluppano il tema dell’acqua del mare e del cielo. Mentre Sul filo dell’onda è un’opera di grandi dimensioni, distesa a terra come un tappeto marino verde-acqua dischiuso ai movimenti morbidi e della risacca, nei riflessi caldi della luce di un tramonto infuocato; le altre due opere sono dei minitessili. Marea suggerisce il moto ondoso del flusso e del riflusso dell’acqua tramite i regolari e progressivi rigonfiamenti della sua superficie cobalto; Tra cielo e mare intreccia inaspettatamente le due superfici, l’intenso blu lapislazzuli del mare profondo e il luminoso azzurro maiolica del cielo terso e li collega con un nastro iridato.

Al mare appartiene anche il grande Nautilus ermetico (2006) e Haliotis (2012). Due conchiglie di cui la prima avvolge in spirali concentriche le pareti di madreperla della conchiglia, le cui screziature sono evocate dagli avvolgimenti multicolori del nastro che le attraversa, mentre Haliotis si involge su se stessa con corrugamenti che suggeriscono la cangianza del mare profondo nella sovrapposizione dei tessuti da cui fioriscono infiorescenze di anemoni di mare nei colori della porpora.

Dello stesso anno è Il cielo nel pozzo (2006), un’opera ideata per le celebrazioni del quinto centenario della morte di Andrea Mantegna, esposto alla mostra “Pensando a Mantegna, Fili nel tempo”. Si tratta di una citazione colta e festosa, costituita da una balaustra tessile che circonda uno specchio posto sul fondo dell’opera, entro cui i visitatori si riflettono, sostituendosi ai personaggi del soffitto della “Camera degli sposi”: un divertente e suggestivo effetto trompe-l’oeil di attraversamento spaziale.

Catturano i colori dei prati e dei fiori Parterre (2005), Herbaria (2011) e Hortus conclusus (2011) e Libro botanico (2012). La prima è una piccola aiuola rigonfia in cui la rotondità vince la linea dritta e la disposizione a spirale conferisce dinamismo. Herbaria, il giardino delle erbe spontanee, recupera l’ordine severo delle classificazioni nella trapuntatura ortogonale del prato in scintillante verde menta e dispone linearmente la vegetazione selvatica sfumandone le tonalità. Hortus conclusus, il segreto e simbolico giardino medioevale, mantiene l’impianto geometrico perpendicolare della sua struttura verde giada, ma crea linee di tensione dinamica in bagliori arancio e giallo. In Libro botanico un nastro color zaffiro con punteggiature multicolori collega le tre pagine: in verde veronese, verde bosco e blu laguna.

Due minitessili degli stessi anni, Ordine e caos (2011) e Trait d’union (2011), mostrano la tensione di un conflitto tra gioia e tristezza, tra libertà e impedimento, tra il colore e la sua negazione il primo; il segno di una apertura a cui si anela il secondo, dove le pagine della vita, tornate di colori lucenti e spensierati, stanno sciogliendo i nodi che le tenevano legate.

Infine tre grandi opere del 2012 concludono la mostra. Un Fulmine a ciel sereno saetta inaspettato nella spirale della vita, che si incupisce sempre più terminando in un circolo di dolore. Un Raggio di luce, nei brillanti colori di un arcobaleno intenso e corposo, attraversa un luogo di sofferenza che ha la forma di una gabbia acromatica incupita dal colore dell’ombra. Nuova alba invece sembra recuperare la positività dei colori festosi in cui le ombre scure infine si sciolgono e si illuminano.

Un procedere artistico rigoroso e sensuale, emotivo e controllato, sapiente e ameno, in cui la fisicità del tatto si coniuga con l’esuberanza cromatica, dando forma ai colori dell’iride.

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